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Domenica di aprile

 

di Pietropaolo Bontempi

 

 

Nascere in un luogo e trascorrervi l'infanzia significa che quello che si è visto e toccato in quegli anni è diventato parte integrante della propria persona. Pertanto, stabilito questo, ed a dimostrazione che siamo entrati nel tessuto sociale della nostra gente, ci sia consentito, almeno per gioco, di tuffarci per un attimo all'indietro e fermarci ad una domenica qualsiasi dell'Aprile 1936 a Villecollefegato. Siamo sulla Piazza alle ore nove del mattino e tira un pò di vento che si porta in alto verso i comignoli fumanti. Checchino Barone, che esce per ultimo da ogni funzione, con aspetto ieratico ma anche con ampia falcata si ficca subito in casa, sita poco più avanti, dietro la Croce. Davidde, fratello di Valerio il vecchio sacrestano, dalla porta di casa fa cenno a Francesco, suo figlio di scendere per fare colazione: alle undici ci sarà la Messa Cantata. - Davanti alla casa parrocchiale c'è Angelo Padovani con la cavalla sellata in attesa di Don Lino che esca per andare a Poggiovalle a dire la messa.- Intanto io e Carmine Bontempi reduci dalla messa che abbiamo servito, ci siamo seduti sul muro della Piazza con il proposito di programmare la giornata e guardiamo, quasi assenti, il viavai di persone e animali che transitano sulla strada che fa corpo con la Piazza. Ma contemporaneamente siamo richiamati dagli acuti grugniti dei maiali e girando le spalle vediamo in basso, in Via della Fonte, l'ammassamento dei porci che Domenico Quercia ('u lebbere) riesce a tenere buoni. Intanto Pasquale Canoni, ('u porcaru 'ella terra) fa le ultime sonate "de oza" e poi, con la mano monca infilata nella tasca della giacca e con l'altra sana stringendo un bastone, raccoglie i  pochi maiali rimasti arretrati e immettendoli nel branco più grosso assieme "agliu lebbere" li conduce agli "arbucci" dove con l'acqua del fiume e con le radici dell'erba i porci trascorrono la giornata. A sera ci sarà il solito spettacolo, quasi da rodeo, del rientro dei maiali che a folle corsa raggiungono "la tina" posta per ognuno di essi davanti la propria abitazione. Noi, comunque, siamo sempre seduti sul muro della Piazza e i maiali non ci hanno distratto da non farci vedere "Piccone" che, uscendo quatto quatto dalla "Costarella" e tenendo una mano stretta nel petto a protezione di qualcosa, attraversa la strada e va a imboccare la bottega di Danilo posta in fondo alle scale di Rosina. Noi, naturalmente, conosciamo la merce che nasconde: freschissime uova " raccolte" in pollaio; e quasi ne godiamo di questa "azione" perchè, più tardi, "abballe all'ara", avremo un compagno in più munito di soldi. Siamo digiuni per aver fatto la Comunione e necessariamente dobbiamo rientrare in casa per la colazione. Mentre lasciamo la Piazza "Cirimetto" espone fuori la bottega una cesta di verdura e appende sul muro esterno due o tre "fiette" di fichi secchi. - Dopo un quarto d'ora siamo nuovamente davanti alla Chiesa a vedere di giocare a "schiuppetta". Protagonisti ne sono: Italo Tosini (Pezella); Eliseo Di Clemente (Foglittu); Mario Padovani (Maschietto); Enzo Padovani, Nanni Padovani e Paris Tosini. Ma la febbre del gioco arriva alle stelle e la Piazza e il Largo della Croce sono già saturi di gruppetti di ragazzi intenti a giocare chi a "sassittu", chi a "barile" e chi a "mezza luna". Più tardi, però, si decide, per non essere sgridati dai parenti, di andare altrove. Noi preferiamo-e ne farò anche una breve descrizione Lara 'e Ricci (l'aia di Ricci). Qui siamo in un luogo nascosto e dalla Piazza vi si accede attraversando il Largo della Croce per tutta la lunghezza del Palazzo Cicconi (Canoni), quindi, dalla casa di Sor Vincenzo Ricci proseguendo per Via Indipendenza, s'imbocca dopo 45-50 metri la Via Tora dalla quale, fatti pochi passi, si gira a sinistra e a fianco di mura fatiscenti si giunge all'ara. Questa è costituita dalla cosiddetta " Ara 'e Ricci" ricoperta di selciato e utilizzata solo due volte l'anno per la "trita" e la battitura del granturco. In fondo, a sinistra, c'è la stalla di Antoniuccio Tosini ('e Giorgio), l'unico anziano che si vede transitare durante la giornata. Di fronte: a forma di ampia terrazza, l'aia guarda a sinistra Monte Rose, a destra Monte S. Angelo, al centro e in basso il fiume Salto. Ai lati, invece, si notano riquadri fatti con mura in completa rovina; e in questa casbah ripiena di sozzura ragazzi di varia età, incuranti di tanta sporcizia, si cimentano con il denaro nei giochi più diversi. E qui si gioca fino al buio. Naturalmente la festa e il gioco si svolgono anche altrove. - Alla "Via elle Prata" si gioca a "palla di ferro". Questo gioco consiste in una sfida a due o quattro persone. Si inizia dall'olmo di Sor Paolo Gagliardi e si arriva alla chiesetta di S. Vincenzo. Vince chi con pari lanci fa percorrere alla palla di ferro più strada, (e Vincenzo Franchi ne era un campione). Davanti alla Baracche c'è il Campo Sportivo realizzato, da poco tempo, dal Parroco Don Lino De Sanctis, e anche qui un mugulo di ragazzi passa il pomeriggio della Domenica giocando a pallone. E poi le Osterie, a partire da quella di "Foglittu" o meglio di "Elisetta" fino a quella di "Poli" e così proseguendo a quella di "Sora Lucia" e di Danilo, hanno abbondantemente i loro clienti. Tra il gioco delle carte e quello delle bocce i litri di vino che vengono bevuti non si contano come non si contano gli ubriachi e i "vespasiani" improvvisati nelle vicinanze delle osterie. La domenica, infine si chiude con la solita funzione serale alla quale partecipano numerosi fedeli e tra essi anche gli ubriachi tra i quali ricordiamo " Rosario" che, sotto gli occhi incuriositi di noi ragazzi, va a sedersi, come di consueto, a un banco posto al di sotto del Pulpito. Qui agitando una canna prelevata in un angolo dell'altare vicino, ammonisce ripetutamente tutti a stare zitti. A pagare lo spettacolo con una sberla sarà naturalmente il chierichetto piazzato vicino al prete durante la funzione. Poi, a notte inoltrata, le voci stonate e volgari degli individui avvinazzati tacciono e dalla Piazza o giù di lì, tra il buio attenuato dal chiarore delle stelle, si diffonde, come tutte le sere, un coro di giovani speranzosi che, anelando orizzonti più ampi, riporteranno con i loro canti la serena atmosfera del luogo.